L’ANNUNCIAZIONE DI DONATELLO IN SANTA CROCE (II parte)

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La cosiddetta Annunciazione Cavalcanti di Donatello è un capolavoro di tale portata che non si finirebbe mai di parlarne. E’ una delle poche opere nel quale l’artista lavorò in pietra serena. E’ un’opera nella quale abbiamo già visto come l’elemento arcaizzante della figura arcuata della Vergine non sia da attribuirsi a un “regresso stilistico” dell’artista, ma a un’intelligente rilettura di quel motivo gotico che Donatello riutilizza in chiave assolutamente rinascimentale.
Ci sarebbe anche un altro motivo che a una prima frettolosa analisi potrebbe apparire arcaizzante: la doratura. Va innanzitutto sottolineato come la doratura originaria di Donatello sia stata pesantemente ritoccata da un restauro del XIX secolo, ma Donatello l’aveva prevista e, con tutta probabilità, l’aveva lui stesso eseguita. Perché questa nuova riesumazione di un elemento così tipico dell’arte gotica?
In questo caso è necessaria la conoscenza del contesto in cui il rilievo si trovava: quell’ Annunciazione si trovava sì in quel punto esatto della chiesa dove la vediamo oggi, ma in un contesto diverso: era infatti l’altare della Cappella Cavalcanti, una di quelle cappelle che furono smantellate dal Vasari quando nel 1566 su ordine del Granduca Cosimo I manomise la chiesa per riadattarla ai nuovi principi enunciati dopo il Concilio di Trento. Questa Annunciazione dobbiamo quindi immaginarcela all’interno di una cappella (fiancheggiata da due affreschi di Domenico Veneziano di cui uno è ancora visibile nel Museo dell’Opera di Santa Croce). Di conseguenza quest’Annunciazione era stata concepita da Donatello per l’interno di una cappella, cioè in un luogo molto meno luminoso di quello in cui si trova oggi. Questo spiega l’assenza quasi totale di dettagli che non sarebbero stati apprezzati in quella piccola oscura cappella. Anziché dilungarsi in inutili dettagli (cosa che del resto Donatello fece in pochissime, anzi, contate occasioni) l’artista preferì aggiungere quelle dorature la cui funzione era proprio quella di catturare la poca luce che entrava dalla porta della cappella stessa.
In questa, come in altre occasioni, Donatello ancor prima di metter mano allo scalpello vuol sapere dove andrà a posizionarsi la scultura che sta per eseguire: in quale contesto, sotto quale luce, quale sarà il punto di vista dello spettatore. E solo allora inizierà a sbozzare la materia e a dar vita alla scultura.

Dopo aver magnificato il genio di Donatello mi si permetta anche di spendere qualche parola sul suo spesso sottovalutato compagno di lavoro: Michelozzo, autore della struttura architettonica in cui l’Annunciazione è stata posta. Si tratta di uno splendido lavoro che ricorda un po’ l’analogo tabernacolo eseguito in marmo pochi anni prima per una delle nicchie di Orsanmichele (ospitante anch’essa una splendida statua di Donatello, il San Ludovico di Tolosa). Quella era stata se non il primo, sicuramente tra i primi altari realizzati nel nuovo stile rinascimentale. In questo caso Michelozzo ritorna sull’argomento e da par suo lo arricchisce con nuovi motivi ornamentali, desunti anche nel suo caso dalle decorazioni classiche studiate a Roma. Eppure, nonostante la ricchezza decorativa, la sua struttura non perde niente di quella gravitas che tanto gli era cara, anzi, si permette di arricchire ulteriormente il suo lavoro aggiungendovi quella serie di angioletti al di sopra dell’elegante timpano. Quegli angioletti in terracotta furono probabilmente realizzati in collaborazione tra Michelozzo e Donatello. Entrambi avevano visto a Roma numerosi sarcofagi nei quali figuravano quei cosiddetti “spiritegli”, cioè quelle creature della mitologia romana che costituivano quanto di più vicino potesse esserci agli angioletti cristiani. Grazie a numerosi schizzi presi dal vivo tra i monumenti romani, Donato e Michelozzo furono forse i primi a realizzare figure di bambini che finalmente somigliavano a bambini e non ad adulti in piccole dimensioni.

Onore dunque a questi due grandissimi artefici della cultura figurativa fiorentina e una menzione, sia pur fugace, la merita anche lo scalpellino che eseguì buona parte: il fiesolano Pagno di Lapo Portigiani, un artefice che solo dopo una lunga militanza come aiutante di Donatello e Michelozzo iniziò a eseguire opere scultoree in proprio.
Peccato soltanto che l’intero ambiente sia stato smantellato per motivi di culto. Quegli affreschi di Domenico Veneziano erano il necessario complemento per quella straordinaria cappella.
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L’ANNUNCIAZIONE DI DONATELLO IN SANTA CROCE (II parte)ultima modifica: 2020-02-21T03:14:38+01:00da raffaello115
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