MI CHIAMO FILIPPO

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Gli storici dell’arte mi chiamano Filippino, per distinguermi dal babbo che aveva il mio stesso nome e cognome, ma in realtà mi chiamavo Filippo Lippi.

Lo so, quando pronuncio il mio nome vedo sempre affacciarsi quei sorrisetti… Proprio lì! In quell’angolino dove astutamente vanno a unirsi il labbro superiore con quello inferiore. Lo so: era così anche quando ero vivo. Il fatto di esser figlio di un padre predicatore carmelitano scalzo e di una monaca ha provocato non poche curiosità, non poche ilarità tra la gente. Ma poi in fondo Cosimo de’ Medici si adoperò affinché il papa concedesse ai miei la dispensa e potessero sposarsi. In fondo sono soltanto uno nato da rapporti prematrimoniali. Tutto lì.

Dicono che il babbo fosse un gran donnaiolo. Io non lo so. Quando lui morì avevo appena dodici anni. Ma tra i pochi ricordi che ho del babbo, non dimenticherò mai quando, oramai in fin di vita mi disse che avrei dovuto continuare a dipingere. E chiamò il suo amico di tutta la vita, Fra’ Diamante, facendogli promettere che mi avrebbe insegnato lui a dipingere, poiché secondo il babbo avevo del talento.

Fra’ Diamante? Era molto bravo come aiutante: bastava dargli un buon disegno, ben dettagliato e lui lo riproduceva alla perfezione. Ma per insegnare… mah! Non credo che avesse tanto da insegnarmi. Fu per questo che mi scelsi un altro maestro, più bravo. Era stato un vecchio alunno e collaboratore del babbo: si chiamava Sandro Botticelli.
Anche lui mi disse che avevo del talento. E infatti da alunno mi promosse subito a collaboratore, e poi socio al 50%.

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Ancora non lo so se avessi davvero tanto talento come dicono. Oggi però le mie opere si trovano non solo nella mia natìa Prato, non solo nella mia città Firenze, ma si può dire che qualunque museo del mondo che voglia degnamente rappresentare la pittura rinascimentale deve assolutamente possedere un qualcosa di mio. Ecco perché oggi la gente fa la coda per vedermi a Firenze come a Washington DC, a Parigi, a Genova, a Londra, a Roma, a Monaco, a San Pietroburgo, a Berlino..

Alcuni studiosi di oggi dicono che la mia qualità migliore fosse quella di mettermi sempre in gioco, di non adagiarmi mai su quanto avessi raggiunto, ma cercar sempre di migliorarmi, sempre guardandomi attorno, magari per rendermi conto che uno come Ghirlandaio era più bravo di me a fare i ritratti e magari potevo imparare qualcosa da lui; che Botticelli aveva una grazia unica e soprattutto un’abilità incredibile nel trasferire su tavola concetti filosofici complicatissimi, e poi… e poi quel ragazzino… Michelagnolo. Io me ne resi conto immediatamente che quello non era un bravo pittore come tanti altri: si vedeva fin dall’inizio che aveva come una marcia in più. Certo, aveva anche un caratteraccio davvero infame, e poi dicono che fosse tirchio, avido, rancoroso… Ma quando prendeva in mano un carboncino… sembrava che gli angeli gli disegnassero tra le mani. E poi da quei disegni ne cavava non solo grandi pitture, ma anche sculture divine.

Quando fece quel gigante alto quasi dieci braccia il gonfaloniere Pier Soderini chiamò tutti i migliori artisti della città per stabilire dove posizionarlo. Tra i tanti pareri fu scelto il mio: collocare quel David davanti al Palazzo dei Priori. In quei tempi stavo ancora lavorando a una grande Deposizione per la SS. Annunziata, quando un’angina pectoris fulminante fècemi render l’anima a Dio…

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MI CHIAMO FILIPPOultima modifica: 2020-02-11T03:02:08+01:00da raffaello115
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